I Critici

Roberto Sanesi

NUOVI APPUNTI su PETROS E I PRESOCRATICI

"... sarà fondamentale, per la filosofia, che i concetti astratti non perdano il contatto con il senso, con la percezione, con la natura".

Questo annotava fra l'altro, in una sua lontana storia del pensiero presocratico (1957), il filosofo Enzo Paci. E continuava commentando il valore fondamentale del mito, un deposito di conoscenza intuitiva che "senza alcun elemento informatore del logos" (cfr. Werner Jaeger) resterebbe altrimenti come cieca. Quindi il problema della parola, del "segno", di un tramite che fissi, senza falsificarla, e cioè senza astrarla concettualmente e senza, nel medesimo tempo, negare l'ambiguità della sua prima e inspiegabile apprensione, quella sostanza di ragione e immaginazione con la quale il mondo si presenta.

Segno della scrittura, dunque, e segno del disegno e della pittura non meno che della scrittura. Sforzo di apprensione e restituzione, metodo di una apparizione di quel corpo che è pensiero, immagine immaginata e natura, esattezza del suo essere e suo mistero necessario, fino a un equilibrio significante e mobile, in continua relazione, di permanenza e emergenza. Senza che si dimentichi nè il fondamento nè la metamorfosi. Per assurdo, una conoscenza cieca che si mostra, e nel mostrarsi riflette (in un gioco di specchi che è già di per sè visione) ciò che altrimenti non sarebbe visibile.

Avevo scritto anni fa di come fosse inevitabile, e non per una sua "grecità" ovvia, che un pittore come Petros incontrasse prima o poi quella straordinaria commistione di natura e idea (e lo stupore di questo incontro di visibile e invisibile) che si rintraccia nei testi presocratici.

Perchè l'origine surreale della pittura di Petros, e il suo svilupparsi in direzione orfica, indicava da tempo una richiesta di verifica del sogno che fosse insieme "rivelazione" e mistero. Di un sogno che nasce dalle cose, che resta nelle cose malgrado intenda dire, delle cose, il lato oscuro. Tanto da non potersi distinguere se si tratti, nella visione mostrata, di una diffusa sostanza da cui ogni particolare prende forma o di un groviglio di forme particolari che si spingono verso un'unità. La pittura di Petros è sempre stata dinamica, ha sempre rappresentato un continuo processo di generazione e di metamorfosi. Citando ancora Paci: "La figura, la forma, la 'visione' si pongono tra il divenire inafferrabile e l'essere non visibile perchè unico e assoluto: l'arte vive fin tanto che non vengono fissati i due opposti e si realizza... se effettivamente si muove nella relazione dialettica che è poi il piano della concretezza".

Qualunque forma assuma (e assume molte forme in successione), il visibile di Petros indica la non definibilità dell'essere in una forma unica e unitaria, e cioè sottolinea la molteplicità, perchè la sua sostanza è energia. Un'idea, questa, sempre più o meno esplicitamente toccata da ogni arte (pensiero) che per avversione alla mimèsi tenda a sprofondare nel sogno, nel mito, per restituirne il senso in termini magici, metafisici, visionari. Secondo un processo la cui "figura" è quasi sempre la spirale. E fra i tanti possibili rimandi testuali ai presocratici è allora forse il frammento 5 del poema di Parmenide a indicare quale sia il momento di quel processo di formazione fissato in ogni opera di Petros:

"è per me indifferente quale sia
il punto da cui prendere le mosse;
poichè è laggiù, infatti,
che dovrò fare ritorno di nuovo".

L'apparizione delle energie in gioco è simultanea. La rivelazione è, insieme, l'indicazione di ciò che si forma e di ciò che nel formarsi si perde. La rivelazione è fenomeno: ovvero un dilemma, fra la certezza di cosa evidente e l'interrogazione inevitabile a cui la cosa apparente costringe. Petros, mi pare, dipinge questa interrogazione. D'altronde ogni presenza che si riafferma denuncia anche il suo essere stata, e perciò la sua assenza. In questo modo Petros interpreta il senso transitorio e costante del mondo e dipinge il suo stesso metodo, che risulta metaforico proprio in quanto rappresenta (presentifica) uno slittamento. Ogni metafora, propriamente, è uno slittamento, suggerisce una forma virtuale, aggrega in ogni passaggio della sostituzione tutti i passaggi della somiglianza. E le forme di Petros stanno infatti alla soglia, fra due o più condizioni. E’ qui che si capisce meglio la connessione del pittore con il surrealismo.

Sempre è la presenza dell'altrove. E però come se sempre fosse un vero e proprio oggetto - da estrarre dall'Ade, per esempio, non con la voce ma con lo sguardo di Orfeo, "ammaliando" (Euripide, Alcesti), ovvero da strappare al mistero dell'ombra, del sogno, per dargli appunto forma. E come il mito di Orfeo introduce il ciclo dedicato dal pittore ai presocratici collocandosi subito in una atmosfera di "naturalismo orfico", così le opere riferite a Esiodo introducono al tema del principio, della genesi, dove si prefigura una sorta di progetto. Dall'informe gli dèi: la violenza, la bellezza, lo schiudersi del "non ancora riconoscibile", in una grande fiammata di nascita e tramonto dove ogni cosa è forzata ad essere con un nome, e gli dèi ombre, spettri, accanto al progetto geometrico di un ordine possibile.

E poi Talete: la chiarezza, l'acqua, una sorta di cielo d'acqua, e la misurazione del tempo, l'annegamento nel tempo, lo scandaglio precipitato in fondo a quel cielo d'acqua. Petros ne scorge il rovescio, come dal batiscafo del Capitano Nemo.

Le parti mutano, il tutto è immutabile. Così gli elementi primari considerati da Petros provengono sì dalla natura visibile, ne hanno tutta la sensuosità, e però si spostano verso la definizione di un concetto: come a dire che l'acqua è una dominante verde-azzurra, l'aria una serie di sfaccettature di cristallo, il fuoco uno spazio in cui panicamente si generano ombre d'oggetti, la terra un congegno di forme convulse aggregate. Ogni opera sembra impegnata in una lettura delle strutture interne, perfino l'astrazione matematica, il concetto di misura, denuncia un'origine naturale, e non a caso, in un suo testo, Benvenuto Guerra insegue nel dettaglio lo sforzo di Petros di rendere evidenti le connessioni: fra mythos e logos, pathos e ludus, "norma del giorno" e "passione della notte".

Ciò che è indistinto, caotico, notturno, fluttuante, convive con un'altra forma del sogno, quella dell'ordine, della ragione, dell'armonia - della stabilità, che sarebbe come dire del riconoscibile. Ma ciò che è pur sempre da imitare nel passaggio fra l'interpretazione dei fenomeni e la loro restituzione visiva non è un presunto punto d'arrivo, ovvero una forma stabile, ma proprio quella dialettica della sostanza che si intravede in ogni fenomeno naturale.

Malgrado le molte convergenze e riverberazioni con (e a causa) di un atteggiamento surreale, o meglio di una percezione del sovrareale, in questo senso la pittura di Petros è visionaria. Nel senso dell'ambiguità e proiettività dei risultati, che è indicazione esatta del qui-e-ora del visibile e prefigurazione del possibile prossimo; ma anche nel senso di un suo fondamento geroglifico, se così si può definire. Infatti la parola, quando appare in un'opera di Petros, si dà come segno parificato agli altri segni, a quelli del di-segno. Il logos è a sua volta visione, la scrittura commenta e nello stesso tempo partecipa alla rappresentazione visiva della metafora, sottolinea le corrispondenze naturali con una tipica operazione linguistica.

Con riferimento a un'osservazione di Paul Ricoeur in tutt'altro contesto, e per rispondere comunque ai meccanismi segreti attraverso i quali si manifesta un'estasi poetica (in fondo è questo l'effetto globale della pittura di Petros), si potrebbe azzardare anche qui che "l'ontologia delle corrispondenze si cerca una garanzia nelle attrazioni 'simpatiche' della natura, prima dell'intervento della ragione che divide".

La sostanza del sogno attraversata da Petros è tale che il pittore, nel dare forma alle cose, non può che sconvolgere l'ordine dello spazio, attrarlo alle cose, ridistribuirlo verso l'esterno (per così dire) fino a indurre l'occhio a osservare nello stesso tempo dal maggior numero dei punti di vista possibile. Non solo per ogni oggetto la compiutezza apparente e transitoria della forma inconclusa, ma il ribaltamento di ogni oggetto in più d'una prospettiva possibile, in una serie di piani (concavi, convessi, ripiegati in-dentro-in-fuori, ecc., in una vera e propria sfaccettatura dello spazio: secondo il principio delle ripiegature barocche, per esempio, ma con l'ausilio dell'esperienza cubista) dietro i quali si dovranno immaginare altri piani. Come risulta chiaro dall'opera grande dedicata a Eraclito, dove tutte le corrispondenze implicano l'evidenza delle difformità come dato necessario. Certo "la natura delle cose ama celarsi", ma essa si nasconde mostrandosi nel magmatico flusso inarrestabile. Così, per quanto Petros non proceda in modo "illustrativo", e quindi non seguendo una lettura schematica dei vari poeti-filosofi, si può abbastanza ragionevolmente supporre che in ogni momento singolo fissato dal pittore convivano e si manifestino due tensioni che agiscono reciprocamente. La grande e coinvolgente marea generativa, dove il particolare sprofonda nell'unità delle indistinzioni, e il sogno o desiderio pitagoreo di rintracciare il "numero", il ritmo, le misure, dello straordinario congegno del formarsi del mondo. La visionarietà procede in ogni caso, e sempre, da una percezione di tipo magico-mitico, forse potremmo dire mistico (in senso lato), e la riflette visibile.

Milano, Marzo 1992



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